Come nel precedente RIFF-RAFF, uno dei pochi, grandi politici del cinema di oggi torna a parlarci della realtà più rivoltante: in quel suo modo inimitabilmente disincantato, quasi scanzonato. Indimenticabile, il disoccupato nella Manchester di RAINING STONES: sulla cui pretesa di vivere piovono i sassi di un destino sociale - ma sopratutto politico - immutabile. Che finisce per dissanguarsi, affinchè alla figliola sia permesso di festeggiare con l'abito più bello, quello dei signori, la sua prima Comunione.
L'arte di Loach sa guardare evitando mirabilmente le trappole del melodramma pietistico. Prima, affondando nella visione lucida, asciutta - quella che nessun documentario riuscirà mai a rendere - di una verità ricreata, ma miracolosamente semplice e diretta. Poi, inventando un gioco quasi astratto, poiché più grande di lui e della sua insignificante miseria: gioco di Buoni - pochi - e sopratutto di Cattivi. Quasi un thriller, dalla tensione insopportabile, perché sfacciatamente accostata nella sua astrazione alla testimonianza che precede, cosi vera e tranquilla, del quotidiano.
Che non si priva del piacere di cogliere anche i momenti di serenità e di umorismo: e di sfociare - provocando quella sorpresa emozionante che è soltanto delle opere più grandi ed ispirate - nella descrizione della violenza più terribile. Privata, cosi vicina all'intimo dei personaggi: e quindi infinitamente più sconvolgente di tutte le mitragliate e gli effetti speciali sparacchiati dalla cosidetta industria dello Spettacolo..
Modesta e furibonda, reale e poetica, la lezione di Ken Loach continua ad imprimersi nelle nostre memorie.